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Dagli Orti
dei monaci
alle Gole dell’Orba

Tiglieto

In questo itinerario vogliamo portarvi nuovamente alla scoperta del Parco Naturale Regionale del Beigua, immergendoci in una porzione di territorio che si estende nella val d’Orba nel piccolo comune di Tiglieto.
Quella che andremo ad evidenziare è una piacevolissima escursione ad anello con arrivo e partenza presso la famosa abbazia di Santa Maria alla Croce, più comunemente conosciuta con il nome di badia di Tiglieto; ma andiamo per ordine.
Raggiunto l’ampio parcheggio situato nei pressi degli impianti sportivi, percorriamo una piccola stradella asfaltata su via Antonia Pesce, dove appaiono già evidenti i segnavia che ci accompagneranno per tutta la durata della trekkinata, ovvero un ovale giallo inframezzato da una banda rettangolare oppure ancora la cartellonistica del Nordic Walking recante il numero 06.
Tenendo la destra, iniziamo a percorrere una strada che, superate alcune case, sale dolcemente per poi adagiarsi su di un falsopiano; ci addentriamo così nella vegetazione fino a raggiungere il guado di un piccolo affluente dell’Orba che superiamo per mezzo di una passerella in legno. Al sopraggiungere di un bivio, dal quale ci staccheremo proseguendo sulla sinistra, ci imbattiamo nei ruderi di un vecchio podere, conosciuto localmente come Cascina Piana.
Dopo averlo oltrepassato, la nostra trekkinata assume un aspetto decisamente più wild; aggirando alcuni affioramenti rocciosi che danno vita ad una balconata naturale, la vista si apre sulle scenografiche gole dell'Orba e noi ci lasciamo incantare dal rumore vorticoso dello scorrere delle acque.
Allontanandoci lentamente dal letto del fiume, il sentiero svolta a sinistra addentrandosi in un piccolo querceto; ci ritroveremo da lì a poco in contrada Bertalin, dove si incontrano nuovamente alcuni gruppetti di case in prossimità di un’altra stradina asfaltata. La percorrenza su di essa è davvero breve. Senza effettuare tutto il tornante prendiamo l’evidente sterrata che si stacca sulla destra, riconoscibile anche grazie alla presenza della segnaletica verticale della REL.
Giunti in prossimità del rio Masino, a causa dell’inagibilità di un ponte, ci vediamo momentaneamente costretti ad abbandonare la strada principale, aggirando la passerella e svoltando successivamente a destra per ritornare sulla mulattiera che percorreremo, da lì in poi, fino ai confini prativi di un cascinale.
Rientrati nel bosco ed imboccato il crocevia di Prato Zanin, proseguiamo lungo una carrareccia pianeggiante fino a ritrovarci davanti ad un altro incrocio nei pressi di Casa Reborina, dove proseguiremo sulla destra.
La strada sterrata inizia così a discendere verso il letto del fiume, dove i profumi dei faggi si fanno nettamente più intensi e, insieme al fragore delle acque, ci rendono complici di un’atmosfera unica. Nei secoli l’erosione dell’acqua ha creato in questa parte di vallata un ambiente decisamente non replicabile altrove all’interno del Parco Naturale del Beigua, con scogliere e strapiombi suggestivi che si alternano l’un l’altro. Come potete immaginare la vista aperta sul canyon dell’Orba, senza le fronde del bosco a nasconderla, merita una sosta contemplativa. Terminato il momento meditazione, siamo pronti per attraversare il Rio della Gerla. Dovremo cimentarci nella discesa camminando proprio su di un ripido ed esposto pendio, assistiti da un corrimano artificiale installato per agevolarne la percorribilità. Superati i ruderi di un'antica ferriera, i cui fasti risalgono al XVII secolo, un bivio ci porta ad abbandonare la mulattiera percorsa fino a qui svoltando a destra, lasciando alle nostre spalle alcune case di località Frera da Bassu. Con ogni probabilità la ferriera venne interessata da una devastante alluvione nel corso del ‘700 che ne precluse per sempre l’operatività. Il minerale impiegato nelle ferriere arrivava direttamente dall'isola d'Elba fino ai moli di Voltri, da dove poi veniva trasferito a dorso di mulo fino a raggiungere queste zone. Ed era proprio nelle ferriere che si gestiva il processo principale mediante il quale il materiale grezzo veniva trasformato in ferro grazie sia all’impiego del carbone di legna, anch’esso prodotto in valle, sia al sapiente utilizzo dell'acqua proveniente dai numerosi corsi d’acqua. Dalla ferriera uscivano così dei semilavorati che venivano portati nelle fucine e trasformati in oggetti ed utensili impiegati per agevolare il lavoro nei campi e in altre attività produttive; famosi divennero i chiodi prodotti a Masone e le inferriate che ritroveremo nei numerosi palazzi signorili di Strada Nuova a Genova. Ma torniamo all’itinerario: dopo una breve salita raggiungiamo uno scenografico ponte metallico che ci servirà per attraversare l’Orba; da qui ci si rende davvero conto dell’unicità del paesaggio che ci circonda. Raggiunta la sponda opposta del fiume, svoltiamo a sinistra, risalendo un sentiero che s’inoltra nel bosco fino a trovarci su una radura denominata località Casa Quizza, attorniata da enormi castagni. Ad un incrocio teniamo la destra e arriviamo nei pressi della Casinazza, dove oltrepasseremo una sorta di recinzione per raggiungere la strada provinciale che funge da collegamento tra il comune di Urbe e Tiglieto.
Dopo un tornante seguiamo le indicazioni gialle e prendiamo la strada sterrata che si palesa alla nostra sinistra, attraversando un grande pianoro erboso. Superata Casa Scuria Inferiore, un nuovo bivio fa capolino dinnanzi a noi; le acque del rio Fornace, che nasce e si disperde nel sottosuolo nell’arco di soli 700 metri, ci portano nuovamente a guadare un torrente. La carrareccia si trasforma così in una lunga strada acciottolata che scende dolcemente di quota per mezzo di continui zigzag. Da più punti panoramici sarà possibile intravedere parte del complesso che compone la vera protagonista del nostro itinerario, la badia di Tiglieto; ci teniamo a farvi notare che abbiamo deciso di intraprendere questa gita percorrendo l’anello in senso orario per concederci la visita all’abbazia come ultimo tassello della giornata. Non a caso abbiamo prenotato la visita del sito grazie alla disponibilità delle guide del Parco del Beigua e dell’associazione Oltregiogo, che da qualche tempo hanno dato il via ad una collaborazione volta alla scoperta dei tesori della valle Stura.
Dopo aver varcato un cancello e svoltato a destra, raggiungiamo in pochi minuti il monastero di Santa Maria della Croce.
Nell'anno 1110 il beato Pietro dei Cistercensi fondò, con il titolo di Santa Maria di Tiglieto all'Olba, una piccola chiesetta con annesso chiostro per accogliervi un'esigua comunità di monaci di quella regola provenienti dalla vicina Francia.
La località prescelta si prestava egregiamente agli scopi che i monaci cistercensi si prefiggevano con il loro celebre motto: ”Ora et Labora”. Come abbiamo potuto appurare durante l’escursione, la zona circondata da boschi, ricca d’acqua ed immersa nel silenzio più totale, raccoglieva in sé tutte le caratteristiche necessarie per potersi dedicare alla preghiera nella pace più assoluta, distinguendosi fin da subito come un perfetto centro di fede e di lavoro.
Ad onor del vero, su questi vasti territori circondariali, inizialmente incolti, boschivi e paludosi, i monaci iniziarono ad adoperarsi per diffondere il loro sapere in campo agricolo, insegnando alla gente del luogo nuove pratiche agricole legate all'irrigazione, le fasi necessarie per attuare le bonifiche delle aree paludose ed ancora i vari stadi della coltura intensiva.Testimonianze tramandate oralmente narrano altresì del forte ascendente culturale che la venuta dei monaci portò in questa valle. La realizzazione per loro mano di una biblioteca abbaziale contenente antichi manoscritti e documenti assai rari, purtroppo, durante la Rivoluzione francese, andò completamente dispersa e distrutta. Nel 1120, soltanto dieci anni dopo la primitiva costruzione, iniziarono un ampliamento della chiesa che, negli antichi documenti, venne nominata “Civitacula in Tiglieto”. Un vasto agglomerato urbano andò via via circondando l'abbazia nei due secoli successivi la fondazione, dando forma ad un paese vero e proprio, con tutte le attività lavorative connesse e necessarie alla vita comunitaria. Man mano che la comunità cresceva dal punto di vista numerico anche la chiesa dovette adattare i suoi spazi per renderli fruibili al conseguente accrescimento dei fedeli, restando però sempre fedele al criterio di semplicità e povertà. Non a caso i monaci scelsero come materiale da costruzione il più classico mattone rosso, prodotto direttamente nella fornace poco distante, ed ancora pietre di facile reperibilità provenienti dal letto del vicino fiume. In quel regime di economia sostenibile si riuscì così ad erigere un complesso architettonico funzionale e a basso impatto ambientale - altro che tempi moderni e bonus del 110% - in diretta coerenza con lo stile di vita cistercense che imponeva ai monaci di vivere del proprio lavoro manuale, dell’agricoltura e dell’allevamento e di devolvere il superfluo all’esercizio della carità. Potete ben capire come questi principi di compartecipazione alla vita quotidiana della comunità favorirono l’affetto e la stima generale nei confronti dell’abbazia di Tiglieto. Nel lungo ciclo di eventi che interessarono il sito, anche alcuni signori di alto rango decisero di prendere parte a questa congregazione, richiedendo persino il favore di esservi seppelliti, come accadde a Isnardo Malaspina, conte di Cremolino, morto nel 1332 e qui seppellito. Come in ogni storia però, a lunghi periodi fecondi si susseguono quelli di sventura: una serie di eventi politici e religiosi portarono il complesso monastico verso lo scioglimento nel 1442, accompagnando tutto l’edificio verso un abbandono prolungato. Anche la spiritualità fu un tema sempre meno sentito, molti furono infatti gli abati che si succedettero alla reggenza della Badia senza apportare sostanziali benefici, come nel caso del priore Muzio Pinelli, che nel 1635, a causa di una gestione poco oculata, si vide revocare il titolo direttamente da Papa Innocenzo X vedendolo conferire al cardinale Lorenzo Raggi, reputato più adatto a risollevare le sorti della chiesa.
Con ogni probabilità furono le favorevoli condizioni economiche di Lorenzo Raggi a costituire una garanzia per il Papa, il quale si impegnò ad usare le sue fortune per apportare le migliorie necessarie per risollevare le sorti ed i conti di Santa Maria di Tiglieto. Sarà con un atto stipulato il 24 gennaio 1648, che si sancì la cessione della Badia in enfiteusi perpetua alla casata dei Raggi. L'enfiteusi è un diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui secondo il quale il possessore ha la facoltà di godimento del bene, ma per contro deve migliorarne le peculiarità e pagare al proprietario un esiguo canone annuo.
Ed è così che nel 1652 venne ufficialmente investito della carica di enfìteuta Giovan Battista Raggi, fratello del cardinale. Da questo momento in poi la famiglia Raggi, poi Salvago-Raggi, entrò in possesso dell'abbazia e delle sue dipendenze, interessandosi con spirito imprenditoriale all'intero complesso, migliorando la situazione non solo della chiesa, ma anche del territorio circostante, con indubbi vantaggi per la popolazione della zona e la sua economia.
Oltre al restauro della Badia e del chiostro, venne dato nuovo impulso all'attività agricola e ricostruito il ponte in pietra che attraverseremo tra pochi istanti. Nel 2022, alla morte della marchesa Camilla Salvago Raggi, ultima discendente della stirpe, con espresso lascito testamentale, tutto il complesso di Tiglieto tornò nelle mani dei cistercensi i quali, essendo un ordine commissariato e senza finanze, rifiutarono senza indugio. Attualmente la proprietà è passata di mano ad un nipote della marchesa che ha deciso di metterla in vendita.
Terminata la visita del sito, impreziosita dalla storia narrata dalla guida del Parco, usciamo dalla chiesa e prendiamo la via che diparte sulla nostra destra e seguiamo la strada sterrata che sale dolcemente oltre ai confini della Piana della Badia, superando una sbarra e sfociando sulla strada provinciale nei pressi dell'incrocio per Olbicella, frazione del comune di Molare in provincia di Alessandria.
Una volta attraversata l’asfaltata, ci dirigiamo verso il ponte medievale di cui abbiamo già fatto menzione, per ritrovarci, sulla sponda opposta, davanti alla monumentale Rovere di Tiglieto. Si stima che questa imponente quercia possa avere circa 300 anni, vantando dalla sua una circonferenza del tronco poco più larga di 4 metri, e una nomea piuttosto popolare. Attorno alla rovere di Tiglieto si raccolgono infatti alcune leggende popolari, principalmente legate alla sua origine.
In vallata si narra che fosse stata piantata dalle truppe napoleoniche durante lo svolgimento della Campagna d'Italia e che un Dragone dell’esercito francese, ovvero un eletto componente della cavalleria, avesse inchiodato un ferro di cavallo recante il monogramma dell’Impero a testimonianza inequivocabile del suo passaggio. Ed è da quel tempo che gli anziani del paese raccontano che da bambini erano soliti veder spuntare dal tronco proprio quel ferro di cavallo con incisa una “N” a carattere capitale. Tuttavia, al nostro passaggio, sulla superficie del tronco non notiamo alcun ferro, probabilmente perché la natura si è ribellata allo sfregio, inglobando il manufatto direttamente nel suo tronco. Da qui in poi ci basterà uscire dal selciato, attraversare nuovamente la strada provinciale, e raggiungere il parcheggio dove abbiamo lasciato la nostra auto.

Route in numbers

h 2:00

Travel time

6,50 Km

Path Length

140 mt

Difference in altitude

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