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Anello di Passo Centocroci

Varese Ligure

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Per questa parte dedicata allo spezzino, oggi vogliamo accompagnarvi in un interessante itinerario alla scoperta dell’Alta Val di Vara, all’interno di un comprensorio interessato da uno dei 23 biodistretti presenti in Italia, ovvero un’area geografica naturalmente vocata al biologico nella quale i diversi attori del territorio (agricoltori, privati cittadini, associazioni, operatori turistici e pubbliche amministrazioni) stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, puntando su produzioni biologiche che coinvolgono tutti gli anelli delle filiere fino a raggiungere il consumatore finale.
Per compiere la nostra trekkinata ci dirigiamo verso il confine regionale tra Liguria ed Emilia Romagna, presso il famoso Passo Cento Croci; il valico si trova a quota 1.055 mt slm e, con la sua statale 523, unisce Varese Ligure, in provincia de La Spezia, con il comune di Albareto, in provincia di Parma.
La camminata inizia nei pressi del monumento dedicato ai partigiani caduti durante la Seconda Guerra Mondiale, in prossimità di una gigantesca pala eolica, impossibile dunque mancare il punto di inizio del sentiero.
Prendiamo così la strada sterrata che parte poco sotto il passo, in direzione ovest, facendoci guadagnare immediatamente quota. Il panorama che ci si presenta fin da subito davanti al naso è molto diverso dai soliti ai quali siamo abituati; colline dolci alternate da verdi pascoli senza la cornice del Mar Ligure è per noi una vera e propria ambientazione insolita! Raggiunto un primo colletto, abbandoniamo la carrareccia per salire sul crinale sovrastante fiancheggiato da una recinzione metallica, incontrando fin da subito un cancello. Avendo cura di richiuderlo appena varcato, entriamo di fatto in una bellissima e abbastanza giovane faggeta interessata da un importante crocevia, dove manteniamo la via di destra.
Questo percorso segue una parte dell’Alta Via dei Monti Liguri, come ricordato dalla numerosa segnaletica che si ripete ad ogni snodo importante del tracciato. Da qui proseguiamo a mezza costa lungo le pendici meridionali del Monte Zuccone (1421 mt slm) che potevamo raggiungere voltando a sinistra al bivio menzionato poco sopra. Una delle caratteristiche principali di questo rilievo è la paleofrana rinominata “Libia di Pecorara” che, interessando una vasta zona di crinale, pone in evidenza la sua nicchia di distacco attraverso alcuni piani di scivolamento all’interno del substrato roccioso, mostrando diversi tipi di grossolane arenarie di color grigio. Per nostra fortuna la via non sembra aver risentito della frana e, con passo veloce, ci troviamo a solcare un’ulteriore sterrata che ci porterà in breve alla spianata di Pian Pintardo. Proprio in prossimità di questo spiazzo è ancora ben visibile un cippo confinario, testimone di una lunga e complicata storia di confini contesi tra la Val di Taro (Parma) e la Val di Vara (La Spezia). Vale la pena effettuare la deviazione per poterlo scovare sul ciglio dello spartiacque, anche se vi aiutiamo nella ricerca fornendovi le coordinate 44°25’48’'N; 9°35’14’’E.
Da qui in poi la nostra trekkinata ripercorre un breve tratto di percorso già battuto in precedenza, per svilupparsi ulteriormente attraverso una vasta area dove l’alternanza di zone boscose e ampi pascoli, la fa da padrona.
Senza trovare un’immediata spiegazione, la via si presenta occasionalmente asfaltata. Un ulteriore pianoro ci apre la vista sulle sottostanti zone di Case Rotte e di Pecorara, facendoci scorgere alcuni casolari sparsi qua e la.
L’assenza di difficoltà e dislivelli ormai quasi azzerati ci consentono di tornare al Colle di Centocroci in un batter d’occhio, dandoci l’opportunità di lasciare un nostro adesivo sul pannello stradale che indica la SP523 verso Borgo Val di Taro.Il Passo di Centocroci ci ha dato modo di fantasticare moltissimo sull’origine del suo nome, facendoci ipotizzare qualche vicenda legata alla Seconda Guerra Mondiale, data la presenza del monumento dedicato ai caduti.
Ma anche volendo contare il nome dei partigiani morti per la libertà, arriviamo solo (si fa per dire) a 74 vittime.
Già noto in epoca romana con il nome di Transitus Carariae, scopriamo che il più sinistro appellativo di Centocrucis venne utilizzato a partire dal basso Medioevo.
Questo valico era una rotta di passaggio obbligata tra Liguria, Lunigiana e Appennino reggiano, di cui si parla addirittura in un documento del 781 d.C. risalente ai tempi di Carlo Magno, probabilmente perché rappresentava un crocevia fondamentale per mercanti e pellegrini, in grado di favorire ed agevolare gli scambi commerciali tra il Nord Europa e l'Italia centrale. I mercanti che percorrevano questa importante via erano costretti ad affrontare diversi pericoli: freddo, strade dissestate e ghiacciate, neve e, non da meno, briganti e banditi. Era dunque prassi per i viaggiatori fermarsi nei conventi e nei monasteri presenti in queste zone, dove i frati o i monaci offrivano loro riparo e un pasto caldo.
La leggenda nella quale siamo incappati narra di un noto mercante di bestiame, diretto a Varese Ligure attraverso il passo, sorpreso da una improvvisa tempesta che, per salvarsi la vita dall’ipotermia, bussò alla porta dell'ostello di San Michele, un luogo che conosceva molto bene. Quella sera però, invece della solita accoglienza ospitale, ad aprirgli la porta vi fù un frate mai visto prima, il quale lo invitò ad entrare in modo poco cordiale. Nel convitto, illuminati da una fioca fiammella, vi erano altri quattro uomini intenti a dialogare tra loro attorno adun grande tavolo. Mentre si avvicinò al fuoco per scaldarsi, il mercante ebbe la strana sensazione che quei cinque uomini non fossero veri uomini di chiesa, ed iniziò a sospettare che qualcosa non stesse girando per il verso giusto. Il frate grande e grosso che lo aveva invitato ad entrare, cominciò a porgli delle domande alquanto ambigue: «Dove siete diretto? Che tipo di merce trattate? Siete forse un uomo ricco?». All’improvviso il mercante venne sopraggiunto da una coltellata e derubato di ogni avere. Quei cinque uomini non erano nient’altro che degli assassini, e si liberarono presto della vittima gettando il corpo in un luogo non molto distante dall’ostello. Ma in quella stessa notte il cane di alcuni contadini che abitavano poco distante, cominciò ad abbaiare indemoniato. I contadini straniti dall’insolito comportamento dell’animale ed ormai svegli per il baccano, decisero di uscire dalla cascina per indagare. Il cane venne così liberato dalla catena e corse come un forsennato lungo la strada che conduceva all’ostello. Affannati e rallentati dagli sbuffi poderosi del vento, sopraggiunti in loco, i contadini udirono dei lamenti sinistri provenire da un pozzo lì vicino. Cautamente si avvicinarono alla cavità da dove proveniva quel cupo rumore, pensando si trattasse di un animale ferito. Con la poca luce proveniente dalle lanterne, videro il mercante agonizzante chiedere aiuto con quel poco di voce rimastagli in corpo.
La scena fu raccapricciante anche perché il povero mercante non era il solo ad esser andato incontro a quel macabro destino; sotto di lui giacevano innumerevoli braccia e gambe, un groviglio spaventoso di cadaveri.
Con ogni probabilità tra quei corpi vi erano anche i veri fraticelli dell’ostello, prime vittime dei briganti. Quando si fece giorno gli abitanti della zona accorsero in loco e posero 100 croci accanto all’ostello di San Michele in ricordo di tutti quegli sventurati che, nella ricerca di un riparo, trovarono invece la morte.
Si narra che i finti frati, che in realtà erano una delle tante bande di briganti che terrorizzavano la zona, furono inceneriti da un grande fulmine che si abbattè quella stessa gelida notte.

Route in numbers

h 3:30

Travel time

10,80 Km

Path Length

240 mt

Difference in altitude

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