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Sulla strada delle Streghe

Molini di Triora

Ci apprestiamo quest'oggi a raccontarvi il nostro itinerario nel comprensorio Molini di Triora - Triora, in un freddo dicembre innevato.
Già da bambino ero solito a frequentare questa zona e tornarci oggi dopo tanto tempo fa affiorare parecchi ricordi.
Posteggiamo nei pressi dell'oratorio di Sant'Antonio da Padova, piccolo edificio religioso che spunta da dietro una curva posta sulla provinciale per Triora.
Subito una piccola sosta al negozio di commestibili dove il tempo si è fermato, la signora Ornella è sempre la stessa, sempre come me la ricordo da bambino; acquistiamo un po'di pane di Molini che farciremo e lo sistemiamo al sicuro nel mio zaino; sarà il nostro pranzo. Il borgo prende il nome dai 23 mulini che un tempo esistevano lungo i corsi d'acqua dell'Argentina e del Capriolo di cui oggi restano solo qualche traccia.
Ci apprestiamo a salire una grande gradinata e, superato il voltone d'accesso oltre le mura, ci imbattiamo a sinistra nell'oratorio di Sant'Antonio Abate e di Maria Maddalena, e a destra la parrocchiale chiesa di San Lorenzo Martire.
L'opera più significativa conservata in chiesa è il polittico "Santa Maria Maddalena con Santa Marta e Santa Lucia", del 1540, di Emanuele Macario da Pigna. Continuando a salire verso quella che diventerà una vera e propria mulattiera, passiamo accanto al monumento del Beato Giovanni Lantrua martirizzato in Cina dove era missionario, e conosciuto come San Giovanni da Triora. Superiamo ancora una fontana e proseguiamo per via Case Soprane dove, giunti ad un bivio incastonato tra le abitazioni, voltiamo a sinistra seguendo sempre l'indicazione per Triora.
Uno scorcio sulla valle addormentata sottostante ci ricorda che ci sono -1° e che la strada in salita è ancora tanta. A pochi minuti di cammino dal centro del borgo raggiungiamo il Santuario della Montà, edificato presso il cimitero, risalente al XV secolo.
Continuiamo la risalita sul sentiero completamente esposto a sud, per fortuna, recuperando via via qualche grado di temperatura e con un panorama sulle alpi liguri innevate, ci apprestiamo a percorrere ben 18 tornanti.
Giunti alla sommità del pendio, una panchina assolata ci fa recuperare un po'di energie e ci permette di sistemare le giacche nello zaino. Dalla partenza sono trascorsi 48 minuti e da -1° ora siamo a 14. Un'escursione termica di tutto rispetto direi!
Eccoci giunti così, in poco più di mezz'ora, al capezzale della chiesa romanica intitolata alla Madonna delle Grazie, risalente al 1100 circa. Davanti a noi possiamo scorgere alcuni ruderi di due fortini che ressero l'assedio dell'esercito franco-piemontese del 1625, commemorato con una targa. Siamo giunti ormai sulla provinciale, che percorriamo per pochi metri uscendo da un tornante, abbandonandola quasi subito per inoltrarci nel vivo del paese, in via Camurata che solo dopo si immetterà in via San Bernardino.Il luogo dal quale passiamo figura tra la parte bassa del borgo, un tempo divisa dalla parte più a nord da alcuni portali. Si possono scorgere ancora alcune lastre marmoree riportanti i limiti degli antichi confini delimitati dalla cinta muraria.
Eccoci sbucare poi in Corso Italia per quella che fu la Porta Anfossa, all'angolo dell'osteria "La Loggia della Strega" dove una fontanella pubblica ci permette di riempire la borraccia.
Proprio qui, attraversando la strada, continuiamo per la parte più assolata del percorso, in direzione Loreto.
Un bellissimo sentiero con vista sulla vallata dove si alternano moltissimi terrazzamenti incolti ma pur sempre ben tenuti, percorso per più o meno, duecento metri, ci porta alla chiesetta romanica di San Bernardino, all'ombra di un ippocastano di circa 160 anni. Seminato nel 1843 nelle adiacenze della chiesa, la pianta ha raggiunto dimensioni e bellezza tali da essere divenuto parte integrante del paesaggio.
La chiesa, costruita nel Quattrocento, ha il suo fianco sinistro protetto dal rustico porticato retto ai lati da pilastri (ora transennati e pericolanti) e al centro da due colonne a capitello di cui una monolitica in pietra nera e l'altra in blocchi di tufo. Tramite due piccole finestre possiamo osservarne l'interno. Alcuni affreschi, tra cui il Giudizio Universale e l'Ultima Cena, che si trovano ai lati della piccola navata, sono attribuiti alla cerchia di Giovanni Canavesio.
Ed è da qui che inizia il sentiero chiamato "Tra Cielo e Terra" sul quale incontreremo 15 cappelle votive, 15 quanti i Misteri, che accompagnano l'avventore quasi come stesse facendo un percorso spirituale.
Attraversando alcuni prati e perdendo quota in una zona ombrosa e umida, raggiungiamo il greto del torrente Argentina dove, ad un bivio, percorriamo per un breve tratto la sinistra, fino alla prossimità del ponte di Mauta. Fino alla realizzazione del ponte in cemento che si vede a monte (anni '60 più o meno) questa era l'unica via di accesso per la Val Nervia. Com'è risaputo, il bosco qui attorno era ritenuto la dimora di creature malvagie, demoni e streghe; qui la vegetazione si faceva più fitta e i raggi del sole penetravano appena, rendendo il luogo tempio sicuro per le congreghe delle "bàggiure". Nel dialetto di Triora erano anche chiamate "foitureire", cioè fattucchiere, e si radunavano in "Ciàn der prève" poco distante dal ponte di Mauta dove da tempo campeggia una leggenda nella quale una strega sfidò il diavolo che si era posto sul suo cammino.
Io, al momento, oltre a Valentina di streghe non ne vedo altre!
Torniamo indietro al bivio e una ripida ascesa ci porta nei pressi del cementizio ponte sull'Orrido del Gerbontina, dove sorge la chiesa intitolata alla Madonna di Loreto.
La gente del luogo ha chiamato a lungo questo Santuario col nome di Madonna del Ciapazzo od anche di Nostra Signora delle Saline: in quel luogo infatti si radunavano i contrabbandieri che, fra tanti pericoli, conducevano il sale fin in Piemonte passando per il bosco detto del Foresto. Dopo che gli abitanti del luogo superarono i pericoli di queste incursioni, ritennero di ampliare questa antica chiesa e di intitolarla, come voto, a Nostra Signora di Loreto.Crocevia di svariate popolazioni di pastori, era proprio da qui che si snodavano i sentieri che portavano verso il versante francese, sino a Briga e Tenda. Nei giorni scorsi, impostando l'itinerario, ci imbattiamo per la prima volta nell'antica cultura Brigasca, così vicina a quella ligure ma diversa per usi, costumi e tradizioni. Decidiamo così di dedicare un approfondimento in un articolo successivo.
Facciamo dietro front e torniamo verso Triora, imboccando un piccolo sentiero sulla sinistra, che si sviluppa quasi totalmente in un vecchio castagneto. Sulla destra il muggito di alcuni vitelli ci coglie di soprassalto.
Lungo la via, a testimonianza della preziosa risorsa che fu il bosco, incontriamo un paio di essicatoi, o di quello che ne resta. Il rientro in paese è veloce, mezz'ora più o meno e ad attenderci al varco, quasi per sottolineare l'energia leggendaria del luogo, un gatto seduto nei pressi del cartello "Triora" ci sfida con lo sguardo.
Superato l'emporio che vende prodotti tipici locali, ci incontriamo con il sindaco Massimo Di Fazio e il suo vice, Giovanni detto "Gianni" Nicosia, per presentargli il nostro progetto e per continuare con loro il nostro percorso. Sarà proprio l'emporio "La Strega di Triora" la nostra prima tappa alla scoperta del paese.
Conosciamo Luana che, insieme al marito Augusto e la sorella Leila, conduce l'attività dal lontano 1986. Un negozio dal sapore rustico, accogliente e davvero molto invitante.
Famoso per le confetture di loro produzione tra le quali assaggiamo una marmellata di mela tipo Carla con noci e cannella ed una crema golosa extra di castagne con cioccolato fondente e nocciole, annovera moltissimi prodotti locali. Tra i formaggi, oltre al Bruzzo, ritroviamo con piacere anche le tome di capra del caseificio Schenardi di Rezzo, ormai nostri amici!Una particolarità che ci colpisce è un dolcetto rotondo che ricorda molto il torrone e chiediamo di più. Prodotto da Augusto secondo una ricetta che si tramanda da secoli, la Cubaita è sostanzialmente un dolce composto da due ostie (che a Triora prendono il nome di Turun poichè antenate del torrone) fatte con poca farina e acqua, farcite con un croccante di nocciole, mandorle, noci e miele. Un luogo questo davvero adatto ai più golosi e potete acquistare alcuni dei loro prodotti sul loro shop online www.lastregaditriora.shop/. Salutiamo Luana e attraversiamo la strada per dirigerci il forno dove si prepara ormai da 60 anni l'eccellenza locale, il pane di Triora; ad attenderci la signora Asplanato Ornella. Nel secondo dopoguerra, rifacendosi ad antiche ricette tramandate oralmente, il padre Angiolino, panettiere del paese, decise di avviare nuovamente la produzione di una pagnotta che potesse durare diversi giorni, come era usanza fare quando i pastori la portavano con loro mentre accompagnavano le loro bestie sulle malghe.
Gli ingredienti necessari alla panificazione sono gli stessi di allora e, in particolare, si continua ad utilizzare la farina di grano tenero tipo 1. Oltre alla farina tipo 1, che contribuisce a rendere dorato il colore della pagnotta, il Pane di Triora viene preparato con lievito di birra, sale, uno spolvero di crusca su cui viene adagiato l'impasto prima della cottura e l'immancabile acqua che sorge non molto lontano dal forno. Oltre a questo "principe" che è annoverato tra i 37 pani italiani, in laboratorio si trovano anche il pane multicereali, grissini, pane d'orzo e biscotti.Sgranocchiando un paio di grissini ci rimettiamo in marcia con Gianni e ci dirigiamo in centro al paese; passiamo davanti al comune e percorriamo nuovamente Corso Italia fino a ritrovarci sotto ad un porticato; l'edificio, un tempo adibito ad Ospedale, oggi è una RSA.




Sul lato opposto del palazzo ecco presentarsi a noi il Museo Etnografico e della Stregoneria, che espone numerosi attrezzi di lavoro tradizionali relativi al ciclo della castagna, del latte, del vino e della mietitura del grano.
L'entrata costa solo 2,00 € ma con il vicesindaco per noi è gratuita!
Con noi il responsabile del museo, Giovanni Nicosia, con il quale ci scambiamo un paio di libri, la nostra rivista per un bel volume sul museo!
La sezione più insolita che ci apprestiamo a visitare si trova nell'interrato (e dove sennò?) ovvero quella dedicata alla stregoneria.
Numerose copie di documenti e degli strumenti di tortura dell'epoca rievocano la spaventosa storia delle streghe di Triora e del processo che sconvolse il borgo nella seconda metà del Cinquecento.
Verso la fine dell'estate del 1587, durante una carestia che aveva duramente provato la popolazione triorese e che durava da oltre due anni, gli abitanti cominciarono a sospettare che a provocare la carestia che stava flagellando le campagne del paese fossero state alcune donne dimoranti presso la località Ca de Boetti (Cabotina poi). Dopo essere state individuate, le streghe trioresi vennero subito additate alla giustizia.Il parlamento generale fece in modo che le donne inquisite venissero sottoposte a un regolare processo. Dopo una serie di interrogatori vennero individuate quasi duecento donne del paese, tutte appartenenti alle classi più povere, sospettate di stregoneria. L'elemento che scaturì le accuse relativo a queste donne, era la capacità di curare malanni e ferite grazie all'impiego delle erbe spontanee locali, tramite infusi e creme. Successivi interrogatori coinvolsero persino mogli di notabili locali, intoccabili per la loro posizione sociale, per cui un forte contrasto tra la chiesa e le casate benestanti pose fine alla ferrata inquisizione. Nel museo molte sono le copie degli atti che testimoniano questi lunghi anni di terrore. A reale testimonianza di quanto sopra riportato, in paese vive ancora l'ultima Basura, la signora Antonietta di 93 anni, che ci aspetta per raccontarci la sua esperienza.
Nel frattempo, usciti dal museo, proseguiamo per via Roma, superando la piazzetta col bronzeo monumento alla strega; passiamo davanti ad un paio di locali, tra cui il ristorante "L'erba Gatta" sino a soffermarci nella piazza del mercato per riassaporare la vita che si svolgeva qui in antichità.
Scendiamo a destra e sbocchiamo nel piazzale dove sorge la chiesa di Santa Maria Assunta costruita nel 1200 su di un "fanum" pagano e l'oratorio di San Giovanni Battista del 1694. Al centro della piazza lo stemma di Triora, un cerbero a tre teste, il simbolo che risale al 1750 raffigura il celebre cane che secondo la mitologia greca protegge le porte dell'inferno. Una scelta molto forte per questo paese, che già si doveva preoccupare del problema relativo alle streghe, e proprio con loro vi è un forte legame simbolico, Cerbero era il cane della dea Ecate, signora della magia e degli incroci ed era la potente divinità dell'oscurità, regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti. Era invocata da chi praticava la magia nera. Una scelta quindi probabilmente avvolta dal mistero.
Scendiamo lungo la rampa a lato dell'oratorio per via Camurata, su cui si susseguono molteplici portali in pietra nera. Ci inoltriamo poi nel quartiere Samburghea, Scopriamo innumerevoli vicoletti fino a raggiungere un portone contornato dalla presenza di moltissime piante, officinali e non.
E' questa la dimora della signora Antonietta Chetta, di cui vi abbiamo accennato prima. Gianni, che la conosce bene, suona il suo campanello e attendiamo ci venga ad aprire.

Route in numbers

h 3:05

Journey

9,00 Km

Route Duration

500 mt

Difference in altitude

Gallery Path

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